MATORI. Santilli: «Apriamoci al mondo e al nuovo»
L'avvocato ci svela le sue idee per il settore amatoriale AMATORI | È finita la stagione anche per chi il ciclismo lo pratica per divertimento e passione, nel tempo libero e con gli amici, vale a dire gli amatori. Con l'avvocato Gianluca Santilli, ex procuratore della Federciclismo e membro della commissione antidoping del ministero, oggi responsabile del settore amatoriale, parliamo del nostro movimento e in particolare di quello che riguarda il mondo delle granfondo e delle cicloturistiche che sta prendendo sempre più piede.Che anno è stato?
«Non abbiamo assistito a un enorme aumento del numero dei praticanti ma a una crescita esponenziale degli eventi, soprattutto granfondo, quasi giornalmente ne salta fuori una. Dobbiamo riflettere su questo stato di cose, la federazione deve spingere ancora di più sulla qualità delle corse che equivale anche a maggiore sicurezza per i partecipanti e non alla mera quantità che ingolfa i calendari e impoverisce l'offerta. Abbiamo una decina di eventi che vantano numeri importanti, basti pensare alla Nove Colli che ha polverizzato in pochi minuti 9.000 pettorali, e altre manifestazioni talmente piccole che diventa problematico organizzarle come si deve. La FCI ha chiesto agli enti di promozione di sottoscrivere convenzioni per innalzare la qualità degli eventi, abbiamo pensato a un progetto che andrà a rinnovare quella che era la Consulta, per fare ciclismo in modo serio».
La "sua" Granfondo Roma è stata un successo.
«È un laboratorio perchè ci sono dietro io e perchè è un evento cittadino unico per la sua location, che sta puntando a sviluppare la bike economy attraverso la ciclomobilità urbana e il cicloturismo. Eventi di questo tipo devono riuscire ad attirare persone che non sono ciclomaniaci come il sottoscritto, ma trovare il modo di coinvolgere il ciclista occasionale, della domenca, i ragazzi e le famiglie. Devono diventare eventi contenitori di tante altre iniziative, con Roma siamo sulla buona strada. Il villaggio è stato visitato da 50.000 persone in 3 giorni e ha offerto forme di divertimento intelligenti per tutti con presentazione di libri, punti di ristoro e tanto altro, non solo il semplice ritiro dorsali e pacchi gara. Abbiamo ripercorso la storia pedalando ai Fori Imperiali con Moser e tanti altri personaggi illustri sulle strade del Giro del Lazio, messo in sella famiglie intere, attirato le persone che escono dalle palestre per portarle con lo spinning in strada e coinvolto chi usa la bici solo in vacanza. La granfondo in sè è cresciuta moltissimo, grazie al lavoro certosino svolto con le istituzioni e la polizia stradale, in quattro anni abbiamo ottenuto la chiusura al traffico e messo in piedi un evento internazionale di tutto rispetto. Il lavoro sul territorio prosegue per promuovere il cicloturismo con iniziative come "In bici ai Castelli". Roma deve adeguarsi alle metropoli straniere e scommetere sulla ciclomobilità».
Cosa pensa delle numerose gare "clandestine" come quelle a scatto fisso?
«Come federazione invece di contrastare questo tipo di fenomeni, li abbiamo esaminati e li stiamo regolamentando. Con il Consiglio Federale abbiamo introdotto un regolamento ad hoc per le gare a scatto fisso, spettacolari e divertenti, stanandole dall'ombra di fuorilegge con cui sono nate a New York. A giugno abbiamo organizzato una gara a Roma al Foro Italico, prima ancora un'altra a margine del Trofeo Liberazione alle Terme di Caracalla. Quest'anno queste gare si svilupperanno ancora con un circuito promozionale, ma l'idea è di creare un circuito italiano più strutturato. Manifestazioni come la Red Hook sono il modo migliore per far avvicinare nuovi appassionati al nostro ambiente, non possiamo ignorarle».
Quali altri progetti ha in mente per il mondo amatoriale?
«A livello nazionale va rilanciata la "Five Star League", che comprende Nove Colli, Maratona dles Dolomites, Sportful Dolomiti Race, Felice Gimondi e Lapinarello Cycling Marathon, nata per la tutela della salute amatori. Guardando a panorami più ampi, di recente abbiamo istituito la World Association of Cycling Events per riunire le granfondo più prestigiose al mondo interessate a promuovere i loro eventi sposando il cicloturismo, vale a dire promuovendo il ciclismo e l’uso della bicicletta in tutto il mondo: la Cape Town Cycle Tour, TD Five Boro Bike Tour, Vatternrundan, L’Etape du Tour, Ride London e la Granfondo Campagnolo Roma. Dal 2017 apriremo l'associazione ad altri eventi unici che abbiano gli standard che abbiamo stabilito. Roma ne fa parte orgogliosamente, ai primi di dicembre ci ritroveremo a Londra per lanciare e strutturare al meglio il progetto».
Come vede il movimento più in generale?
«La differenza tra l'Italia e il resto del mondo è molto importante. Ho partecipato in prima persona a grandi eventi esteri e visto come hanno preso il buono del nostro movimento amatoriale senza l'esasperazione che contraddistingue troppo spesso il nostro movimento. Sono stato a Londra e ho pedalato con 27.000 persone sorridenti che si sono godute il clima di festa sentendosi protagonisti al di là del riultato finale. All'estero l'evento è asservito al partecipante, a casa nostra invece scimmottiamo ancora troppo il professionsimo e c'è poca voglia di confrontarsi per provare a crescere. A Roma ci abbiamo provato togliendo le classifiche, sembrava un'eresia invece prendendo i tempi sulle salite tutti si sono divertiti. Il nostro movimento deve capire che il mondo è grande e l'Italia non è il centro, parlo anche del professionismo. Il ciclismo è sempre più globale, si corre dalla California agli Emirati Arabi, location non belle come casa nostra e a cui manca la storia delle classiche e dei grandi giri ma è oggettivo che i confini si sono aperti. Dobbiamo sfruttare l'occasione per migliorarci e rendere i nostri eventi ancora più appetibili, invece continuiamo a perdere colpi. Perdiamo corse, che non si organizzi più il Giro del Lazio come tante altre corse è assurdo. Dobbiamo fare in modo di far investire le grandi aziende italiane in Italia, il ciclismo offre ritorni molto interessanti, ma siamo carenti anche in termini di comunicazione e marketing, basti pensare che il ciclismo è ancora visto da molti come la disciplina principe in cui alberga il doping, quando invece è il più controllato e, magari, fosse un problema limitato a uno sport... Abbiamo difficoltà nel venderlo, 20-25 milioni basterebbero per allestire un top team, con la stessa cifra paghi solo il costo dello scarpino di un top player di calcio. Servono professionisti, fatichiamo invece a trovare persone che parlino inglese...».
Difficile darle torto.
«Questi sono problemi dello sport e del nostro paese in generale che è troppo autoreferenziale. Pensate per esempio che per diventare presidente del CONI tra i requisiti c'è l'essere stato un olimpionico. Che c'entra con l'essere un buon dirigente? Detto ciò il nostro sport ha potenzialità notevolissime per i giovani, è ancora in gran parte inesplorato ed è un settore con grandi potenzialità. Il ciclismo non è solo uno sport, purtroppo il suo limite è che spesso è gestito da persone che lo considerano sinonimo di agonismo. Il mercato della bike economy ha un giro d'affari di 200 miliardi di euro, di cui la parte sportiva non supera il 10%. Bastano questi numeri per capire che stiamo sbagliando qualcosa. Il cicloturismo in Italia non supera il miliardo, mentre in paesi come la Germania registra numeri da farci impallidire. Il nostro governo che è sempre preoccupato a risparmiare e dovrebbe curarsi della salute dei suoi cittadini dovrebbe interessarsene. Manca una cabina di regia. Tutti innaffiamo il nostro orticello, invece di realizzare insieme un parco che potrebbe rendere felici tutti».
Giulia De Maio
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