Bikes vs. Cars, la recensione
Bikes vs. Cars è un documentario scritto e diretto dallo svedese Fredrik Gertten nel 2015, può rappresentare uno dei migliori esempi di di produzione partecipata dal basso.
Sbarcato sulla piattaforma di crowdfounding Kickstarter alla fine del 2013, in poche settimane ha raccolto donazioni per oltre 80.000 dollari che sono serviti per la realizzazione del film.
Bikes vs. Cars è un film manifesto, un vero e proprio pugno nello stomaco per tutti coloro che continuano a pensare che non possa esistere mobilità senza automobili e che non si sono mai sognati di calcolare i veri costi dell’uso delle auto all’interno delle città.
Quello che colpisce da subito è il titolo: forte, provocatorio e – a mio parere – disorientante.
Disorientante perché il documentario di non parla affatto della guerra in corso tra biciclette e auto che possono immaginare tutti i ciclisti urbani, ma, molto più semplicemente, affronta la questione della guerra tra le automobili e il genere umano.
Non è un’esagerazione e, per rendersene conto, basta iniziare la visione dei primi minuti del film per capire come stanno le cose. Ad aprire il lungometraggio è una scena molto toccante a San Paolo, durante il momento della deposizione dell’ennesima ghost bike in una delle mille strade maledette della città carioca.
La voce narrante qui è quella di Aline Cavalcante, cicloattivista, che racconta la dinamica dell’incidente e chiosa dicendo forse la più grande verità di tutte: “Non è colpa del ciclista e neppure dell’autobus che l’ha investito. È colpa del sistema che costringe veicoli tanto diversi tra loro a condividere lo stesso spazio”.
E la colpa sembra essere veramente del sistema se si pensa, come viene ricordato dalla pellicola, che all’inizio del ‘900 il 20% degli spostamenti a Los Angeles (California) venivano effettuati in bicicletta, mentre oggi siamo scesi sotto l’1% e il 78% della popolazione utilizza abitualmente l’automobile per i propri spostamenti quotidiani. Il risultato di questo processo è che allo stato attuale il 70% dello spazio della città degli angeli è occupato da strade e parcheggi, mentre i 3,5 milioni di abitanti della metropoli californiana devono accontentarsi del rimanente 30% dello spazio.
Tra una cifra spaventosa e un “Carmageddon”, Bikes vs. Cars si rivela quantomai attuale soprattutto quando ricorda come il 28 luglio 2013 la Merkel abbia bloccato la legislazione europea sui tetti di emissioni delle automobili, un’informazione che accende una lampadina sul dieselgate e che fornisce molte più chiavi interpretative sulla vicenda di qualunque editoriale si sia letto sui giornali nel corso degli ultimi mesi.
Tra una cifra spaventosa e un “Carmageddon”, Bikes vs. Cars si rivela quantomai attuale soprattutto quando ricorda come il 28 luglio 2013 la Merkel abbia bloccato la legislazione europea sui tetti di emissioni delle automobili, un’informazione che accende una lampadina sul dieselgate e che fornisce molte più chiavi interpretative sulla vicenda di qualunque editoriale si sia letto sui giornali nel corso degli ultimi mesi.
Per fortuna, però, il film non manca neppure di leggerezza e momenti che sfiorano la comicità, una comicità basata sull’assurdo, come può essere la vita di un tassista costretto a guidare per le strade di Copenhagen, una città in cui fiumi di biciclette imperversano a ogni ora paralizzando di fatto le automobili, troppo ingombranti e lente per potersi spostare.
Il documentario affronta i temi della sicurezza sulle strade, della dipendenza dal petrolio, dell’inquinamento e dei cambiamenti climatici ma, nonostante tutti i fatti elencati, lascia aperta la porta a un velo di speranza su un mondo che possa essere ancora salvato, proprio grazie a un uso diffuso della bicicletta.
Ed è proprio qui che si finisce per capire il vero senso del titolo: in un mondo in cui le automobili sono nemiche del genere umano (1,2 milioni di morti ogni anno sulle strade di tutto il mondo), le biciclette sono il migliore alleato del genere umano per vincere questa guerra.
Nonostante tutto questo, continuo ad avere riserve sul titolo che, così forte, probabilmente finirà per erigere delle barriere insormontabili verso chi, sentendo la parola “ciclisti” risponde in automatico “quegli arroganti, indisciplinati, che passano con il rosso e vanno contromano”, ovvero proprio coloro che, più di altri ne necessiterebbero la visione per mettere in discussione le proprie abitudini di mobilità.
Alla fine questo documentario probabilmente sarà visto solo da chi già pedala e da chi già ha capito che le nostre città hanno bisogno di scelte urbanistiche differenti che mettano in fuorigioco le auto. A tutti loro ricorderà, per dirla con Aline Cavalcante, un dato di fatto “Se io smettessi di andare in bici ci sarebbe una persona in meno a rivendicare il proprio diritto a pedalare in strada e io non voglio essere un ciclista in meno”.
Alla fine questo documentario probabilmente sarà visto solo da chi già pedala e da chi già ha capito che le nostre città hanno bisogno di scelte urbanistiche differenti che mettano in fuorigioco le auto. A tutti loro ricorderà, per dirla con Aline Cavalcante, un dato di fatto “Se io smettessi di andare in bici ci sarebbe una persona in meno a rivendicare il proprio diritto a pedalare in strada e io non voglio essere un ciclista in meno”.
In ogni caso, rimane un lungometraggio imperdibile la cui visione dovrebbe essere resa obbligatoria, se non in tutte le scuole d’Italia, sicuramente in tutte le facoltà di architettura.
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