mercoledì 28 ottobre 2015

il cicloernauta





sono io il cicloernauta, un uomo non più giovane ma che ha trovato nell'andare in
bicicletta la libertà di sentirsi giovane e questo blog raccoglierà tutto ciò che riguarda l'andare in bicicletta o meglio la filosofia del ciclista che usa la bici giornalmente, per andare al lavoro, per girare la città o solo il proprio quartiere, ma anche per viaggiare e fare sport. quindi non parlerò di politica se non per capire perchè in una città come Roma non ci siano piste ciclabili che consentano di girare la città in sicurezza e senza commistione con i pedoni, non parlerò di altri sport a meno di comparazioni o similitudini con lo sport ciclistico, ma parlerò di arte e natura perchè intrinsecamente legate all'uso della bicicletta.
bene se ci sono altri cicloernauti in giro benvenuti e contribuite a questo blog.











L’allarme arriva dalle polizie del Regno Unito e dell’Irlanda. Ma da tempo se ne parla anche nei forum italiani dedicati al ciclismo. Sempre più spesso i ladri di biciclette usano Strava e altre app similari come Runtastic e My Tracks per il cronometraggio e la tracciatura online degli allenamenti, con lo scopo di adocchiare costosi bersagli da rubare. Il sistema è piuttosto semplice: chi usa queste applicazioni lascia online dati «sensibili» che vengono utilizzati per «mappare» la posizione di bici da corsa o mountain bike. Parliamo di pezzi che possono andare da un minimo di qualche decina di euro o poco più a svariate migliaia di euro. Questi ultimi, naturalmente, assai monitorati dai ladri. Chi si allena lascia la traccia infatti dell’orario di allenamento, il punto di partenza, quello di arrivo, il percorso che sovente viene ripetuto con metodicità.
I dati del Gps sono infatti accuratissimi
I dati forniti dalle app sono infatti accuratissimi. In qualche caso localizzano addirittura, con l’aiuto di Google maps, il domicilio del proprietario della bici. Il resto vien da sé. Rubare una costosissima «due ruote» in carbonio - quotata magari 5 mila euro - è un attimo. Basta lasciarla incustodita pochi secondi in giardino, davanti all’ingresso per il tempo di aprire la porta, o anche al bar accanto casa per il caffè prima dell’allenamento. «Certe volte si vedono anche tracce che partono dai cortili delle autorimesse» scrive un utente italiano di uno dei maggiori forum dedicati al pedale riferendosi al sito Garmin Connect dove sono visibili tutte le tracce private: «Il gioco è fatto a parer mio: se sono un ladro so per certo che da quella casa c’è uno che va in bici da corsa, vedo i giri che fa, so che ha un GPS e deduco anche che possa essere quindi un utente “evoluto” che ha bici di valore. Il resto viene da se: basta una telecamerina per capire quale è il garage e il gioco è fatto.... purtroppo».
Furto con destrezza
I ladri agiscono con rapidità: stessi sistemi in tutta Europa, dalla Gran Bretagna all’Italia. Passa un furgoncino, scende qualcuno dal retro, prende la bici lasciata per pochi istanti incustodita e la carica sul pianale. Poi via a tutto gas. Roba da una manciata di secondi. Tecnica assai facilitata da app come Strava. Basta poco per individuare il proprietario di una Wilier o una Colnago dal costo di un paio di stipendi medi. Tutto rintracciabile online. Il ciclista viene tenuto d’occhio, seguito. Le sue abitudini sono studiate con attenzione. Ecco dove si ferma, dove fa colazione, dove abita, il garage dove la ripone. Poi si decide dove attuare il furto. Che talvolta può trasformarsi in rapina. Segnalazioni sempre più frequenti arrivano da tutta Italia. Stesso modus operandi. Il ciclista viene seguito in auto. I malviventi a un tratto gli si parano davanti. Lo fermano, li circondano. Se va bene si fermano qui, facendosi consegnare la bici. Se ci si oppone, si viene trascinati a terra, bastonati, picchiati.
I consigli della polizia britannica
La polizia britannica sta fornendo molti consigli utili, anche online, per non lasciare informazioni utili ai ladri. Ecco cosa suggerisce il sergente Ady Thompson, della contea del Dorset: «Una soluzione può consistere nel modificare le proprie impostazioni di privacy. Un’operazione da pochi secondi che consente di evitare brutte sorprese». Altri, come la polizia gallese, invitano invece gli appassionati ciclisti a iniziare e terminare il monitoraggio delle proprie sessioni di allenamento a qualche strada di distanza da casa».



Niente più auto sull’Appia Antica. La petizione per riservare la Regina Viarum a pedoni e bici

L’Appia Antica con i suoi 2300 anni di storia e il fondo stradale in basolato, che in più tratti è ancora quello delle origini, è una perfetta macchina del tempo, un racconto itinerante di secoli di storia tra catacombe, templi e mausolei.
Purtroppo – nonostante già Napoleone nell’800 sognasse di trasformare in parco archeologico tutta la zona monumentale dall’Appia Antica al Colosseo e ai Fori – la Regina Viarum è ancora oggi soffocata da un intenso traffico motorizzato.
“È arrivato il momento di far vivere questo museo a cielo aperto”, scrive l’associazione Velolove sul portale Change.org, dove è in corso una petizione che ha già superato le 3000 firme. “Il passaggio, spiegano, deve essere riservato in esclusiva ai pedoni e ai ciclisti, sfruttando l’enorme potenziale turistico ed economico dell’Appia Antica”.
La Regina Viarum inoltre è il cuore del GRAB – il progetto del Grande Raccordo Anulare delle Bici di Roma di VeloLove e tante altre associazioni. La realizzazione di questa ciclovia su un’Appia Antica libera dal traffico può produrre green economy e green jobs e dare un impulso al cambiamento della città.

H2, la prima bici elettrica a idrogeno che non ha bisogno di ricarica

la bicicletta, a pedalata assistita, è stata sviluppata dalla tedesca Linde
Oltre cento km di autonomia con 34 grammi di idrogeno


L’alternativa al litio
La bici, a pedalata assistita, in realtà esiste già. Almeno nella sua versione pilota. E si chiama H2 bike. H2, appunto, come la molecola dell’idrogeno. L’idea, in sè, è semplice: far incontrare l’idrogeno, stipato in una piccola bombola agganciata alla canna della bici, e l’ossigeno, presente nell’aria, per produrre elettricità. Mandando al contempo in pensione per sempre le vecchie — e inquinanti — batterie al litio.Zero emissioni e buona efficienza, dato che con una ricarica da 34 grammi di idrogeno si può raggiungere un’autonomia di cento chilometri. «Linde sta sperimentando nuove e non convenzionali idee per contribuire a diffondere la commercializzazione dell’idrogeno come tecnologia pulita — ha spiegato alla stampa tedesca Wolfgang Büchele, amministratore delegato del gruppo —. Con la H2 bike abbiamo dimostrato che i benefici della mobilità a idrogeno non sono ristretti alle auto, ma che le bici sono un’altra interessante applicazione».
La strategia di Linde
Il gruppo Linde (65 mila dipendenti e 17 miliardi di fatturato nel 2014) è da tempo attivo nel settore dell’idrogeno. Sia nella produzione sostenibile del gas, sia nella creazione di una rete di ricarica, rapida e sicura, che conta ormai un centinaio di stazioni in quindici paesi e un milione di ricariche già effettuate con successo. Il primo a poter provare la bici è stato il ministro del Trasporti tedesco, Alexander Dobrindt, a cui è stato regalato uno dei prototipi già realizzati. «L’obiettivo — ha proseguito Büchele — è trovare una valida alternativa all’utilizzo delle batterie al litio, che a fine vita comunque dovrebbero essere processate e trattate per non diventare rifiuti pericolosi».
Dalle quattro alle due ruote
Gli ingegneri di Linde hanno lavorato tre mesi per realizzare il prototipo, trasferendo le ricerche già a livello avanzato nel mondo dell’automotive a quello delle due ruote. «L’idrogeno — hanno spiegato gli ingegneri che hanno realizzato la H2 bike — può essere ottenuto attraverso l’elettrolisi dell’acqua utilizzandol’energia del vento o il biogas». Un procedimento che già avviene a Magonza, pochi chilometri a ovest di Francoforte, dove Linde e Siemens gestiscono insieme una centrale per la produzione di idrogeno da eolico da utilizzare come combustibile o per stoccare l’energia in eccesso proveniente dalle vicine centrali eoliche.

mdelbarba@corriere.it
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